Anche se molti la riterranno una sciocchezza, voglio sbilanciarmi e correre il rischio: leggendo queste sapidissime pagine ho risentito immediatamente il gusto scaturito dalla lettura de «La chiave a stella» di Primo Levi (lui pure torinese doc; pura coincidenza?). Generi diversi, ovviamente: un romanzo breve da una parte, sei veloci ed autonomi episodi dall’altra. Tuttavia, accanto all’ambientazione nel mondo del lavoro, c’è ad accomunarli – a sommesso giudizio di chi scrive – la felice combinazione tra la limpidezza stilistica della scrittura e la signorile ironia che la percorre […] capace di vivacizzare una materia apparentemente impermeabile alla rugiada del sorriso. E’ una galleria circoscritta, quella che ci viene proposta, ma il tipo umano che ne scaturisce è di plastica evidenza (e, purtroppo, rispondente al vero): è l’immagine dell’italiano come maestro del «pressappoco», del «potrei ma non voglio», con un forte quoziente di autostima ed uno bassissimo di umiltà, inguaribilmente individualista, capace magari del beau geste e del guizzo creativo ma spesso refrattario a quelle virtù che fanno la differenza tra le persone: competenza professionale e affidabilità umana. Si sorride, certo; ma il lettore attento ne ricaverà sicuramente motivo per qualche riflessione agrodolce (di cui sarà grato all’autore che l’ha così garbatamente stimolata).